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Quagliarella, vita da ex segna, ride e scappa via

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Mesi fa, vedendolo giocare contro il Siena, il soave presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis disse qualcosa che la lettura del labiale interpretò come: “Quagliarella non vale un cazzo”. Lui smentì precisando di aver affermato: “Quagliarella si fa un mazzo”. Più giusto sarebbe stato dire: “Quagliarella fa un golazo”. Questa è la sua specialità. Dice: “Bello o brutto, basta che entri”. Ma gli riesce solo se “lo fa strano”. Domenica a Udine di tacco, alla Bettega. Quando giocava nella Sampdoria da 40 metri, nella porta del Chievo, con Bazzani che lo abbraccia sillabando alla telecamera: “Questo è matto” (“Questo è fatto” lo teneva per Flachi). In Sudafrica, fuori tempo massimo, contro la Slovacchia, unico momento italiano negli highlights, che gli è valso un premio del comune di Cesaro e un ritorno da campione del mondo nella natìa Castellammare di Stabia.
Fabio Quagliarella è l’uomo della (terza) domenica perché è il simbolo dell’acrobatico risveglio della Juventus. È stato l’unico maschietto a dire sì alla Signora quando prendeva picche da chiunque, perfino da Di Natale che le è coetaneo. Avrà pure influito che a Napoli non lo volevano più, ma a ripensarci ora vien da credere nella Provvidenza: alla fine della fiera sono tutti più felici e contenti.
A cominciare da lui, che non piange più e se ancora non ti ride in faccia è perché segna a un’ex. Ma questo è il suo destino: per ogni tifoseria Quagliarella è un ex, è quello con cui ti metti senza troppa convinzione, poi te ne innamori perché “lo fa strano” e appena cominci a pensare che durerà per sempre lui se ne va.
Neppure per scelta: lo trasferiscono in una città lontana e inospitale, dove ricomincia a farsi amare-rimpiangere-dimenticare.
Non c’è due senza tre. Come in un ballo, è un passo che si ripete.
La prima volta è a Genova, sponda Sampdoria. Ci arriva un po’ per caso: il Torino, che lo ha lanciato, è fallito, l’Udinese, che lo ha preso ai saldi, gli preferisce Iaquinta e Di Natale e lo manda in comproprietà a Genova, dove la squalifica per doping di Flachi gli apre uno spiraglio. E lui sfonda la porta, a forza di tiri impossibili. E’ la stagione in cui riduce la balistica a un’opinione da bar sport: “Secondo te, da lì va dentro?”, “Con Quagliarella sì”. La curva s’innamora, la società pensa al futuro, mette la sua faccia sui poster per la campagna abbonamenti dell’annata a seguire: vieni a Marassi, Quaglia fa sconquassi. Poi va alle buste con l’Udinese e lo perde. In mezzo al cuore e in mezzo al prato resta un cratere. Incolmabile? Non esattamente. Con quei soldi la Samp prende Cassano e decolla, Quagliarella va a conquistarsi l’Europa e la maglia azzurra in Friuli.
La storia si ripete tre anni più tardi a Napoli. Donadoni, che l’ha lanciato in nazionale, lo fa comprare per metterlo al centro dell’attacco. Quagliarella è felice, torna a casa. Alla lettera.
Perché si piazza dai genitori a Castellammare e si fa ogni giorno 220 chilometri in auto, andata e ritorno dal campo di allenamento.
Riabbraccia ogni sera il padre Vittorio, che per lui “si è spezzato la schiena, ha lavorato, ma è stato anche disoccupato”.
Dà un calcio al passato e alla miseria. Si compra una barca di quindici metri e indice una conferenza stampa per mostrarla, disdetta all’ultimo per veto presidenziale. Stavolta ha tutte porte aperte, ma non sfonda. Non s’intende con Mazzarri che prende il posto di Donadoni. Meno ancora con i sudamericani (Lavezzi in testa) che non gli passano la palla. Finisce l’anno facendosi espellere sul 2 a 2 con il Parma. La partita finisce 2 a 3, lui viene squalificato per tre giornate e il Napoli spuntato perde la corsa alla Champions. Ma resta sempre uno scugnizzo, uno che torna dal Sudafrica e bacia l’altra maglia azzurra dicendo: “Per tutta la vita”. Infatti, a fine agosto firma con la Juventus. Dice, sibillino: “Le cose si fanno in tre, non è tradimento”. Ma la città non perdona. Gli dedicano video in cui finisce nella tazza del gabinetto, canzoni dal ritornello “Quagliarella Quagliarella, amara sfogliatella”, tatzebao in via Toledo in cui ai passanti viene fornita la penna per vergare un insulto. Quando Mastella proclama: “Il Napoli senza Quagliarella è come la politica senza me” s’intuisce che la consolazione è prossima. Al lotto molti fanno ambo con il 27 (la sua maglia) e il 71 (core ingrato), Cavani comincia a segnare e s’innalza l’inno locale: “Chi ha avuto ha avuto ha avuto/ chi ha dato ha dato ha dato/ scurdammoce ‘o passato/ simm’a Napule paisà”.
Soltanto De Laurentiis signore lo nacque e dopo la prima di campionato, Bari-Juventus 1 a 0, commenta: “Ora piangono i tifosi bianconeri”. Poi, contro la sua ex Samp, Quagliarella ci dà di punta, contro la sua ex Udinese di tacco e sono di nuovo tutti felici. A pensarci, è un destino meraviglioso e unico, il suo: dopo ogni divorzio sboccia per tutti un amore più grande, un altrove più luminoso dove “farlo strano”, “farsi il mazzo”, ridere, tradire, andarsene, sapendo che tutto sta per ricominciare e niente, nemmeno un diamante, è per sempre.
Fonte: LaRepubblica

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