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La terra sarda da sempre ostile

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C’era il tanfo del fallimento che ammorbava l‘aria di quella squadra sbarazzina ed europea. Fabio Pecchia strinse forte le dita tra le narici e andò avanti di corsa. Era uno della nidiata cresciuta in tutta fretta per “causa di forza maggiore”, con i top player che svestivano la maglia azzurra e se la davano a gambe. Temevano di essere travolti dalla carta bollata e risucchiati dal vortice di una montagna di debiti. No, meglio tagliare la corda, prendere i soldi, tanti e dirigersi altrove. Ma il Napoli seppe fare comunque, qualificandosi per la Coppa Uefa con scarti altrui e ragazzini fatti in casa. Lottarono, ce la fecero e rimasero. Un anno ancora dopo, ormai in pianta stabile di un Napoli sempre più povero tecnicamente. Forse si cresce in fretta quando corri sapendo di avere le mine tutte intorno. Ti abitui all’odore di esplosivo e non ti fa paura giocare e vincere anche sui campi caldi. Cagliari lo è, lo è sempre stato. Lo era anche all’epoca, stagione 1994-95, eppure Pecchia spuntò in mezzo a tante maglie rossoblù per segnare il gol dell’ultimo successo partenopeo in casa sarda. Non furono sufficienti quei tre punti per centrare di nuovo la zona Uefa, soffiata dall’Inter al 95’ dell’ultima giornata di campionato. Ma ebbero coraggio quei ragazzi, così simili a quelli che a distanza di quindici anni hanno preso quella che era la loro maglia azzurra. È da quel giorno, il 28 maggio, che il Napoli non vince al Sant’Elia. Bocconi amari ingoiati a raffica, prima e dopo quel giorno. Ma lo sanno i tifosi azzurri che delle 31 partite in casa del Cagliari tra serie A, serie B e Coppa Italia, la formazione rossoblù ne ha vinte nove, i pareggi sono stati 18 e le vittorie azzurre soltanto 4? Non è una questione di capacità oppure di sudditanza psicologica per il blasone del marchio, è solo una questione di natura ambientale. Quando si gioca a Cagliari, che tu sia Gigi Riva oppure Daniele Conti, ti impegni sempre allo spasimo, anche se i tuoi natali nulla hanno a che fare con quella terra. È una questione di coraggio e di disponibilità al sacrificio: questa squadra protagonista delle grandi rimonte, ha dimostrato di saper resistere alle intemperie. E di sfidare l’avversario anche con spavalderia. Ricordate Lavezzi un anno fa? Il Pocho era reduce da un’estate infuocata, con la minaccia di fare i bagagli, addirittura di non giocare più al calcio se il Napoli non lo avesse lasciato libero. Poi l’armistizio austriaco ed una pace arrivata faticosamente, ma sancita nella notte di Cagliari. Il Napoli perdeva 3-2, dopo essere stato in vantaggio per 2-0. Minuti finali di una gara alla disperata ricerca del pareggio, il tecnico sardo Allegri in piedi davanti alla panchina ritardò a rimettere in gioco il pallone. Lavezzi, con in corpo tutta la determinazione di chi sa di non meritare quella sconfitta, prese la mira e scaraventò il pallone addosso ad uno stupito Allegri. Si scatenò il putiferio, il Pocho prese il rosso, ma l’arbitro Pierpaoli prolungò il match fino al 97’, quanto bastò a Bogliacino per pareggiare. Lavezzi sarà in campo anche stasera, ma è un altro ragazzo, è un uomo. Niente più capelli lunghi, sguardo fiero e serio, i suoi occhi non incroceranno Allegri. Stavolta prenderà di mira solo la porta.
Fonte: Il Roma

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