In Italia il calcio è più di un semplice sport, è un vero e proprio fenomeno di massa che coinvolge milioni di appassionati di ogni età, sesso e condizione sociale.
Il suo rapporto con la letteratura nel bel paese è meno consolidato rispetto ad altre parti del mondo, tuttavia può contare su una discreta tradizione che parte da Leopardi ed arriva fino a Pasolini, passando per Saba, testimonianza del ruolo da esso rivestito.
L’autore dell’Infinito dedicò al calcio una canzone di cinque strofe, datata 1821, che si intitola A un vincitore nel pallone. In questo componimento elogia un giovane atleta del suo tempo, tale Carlo Didini di Treia, per la vigoria fisica con cui si esibisce in uno sport simile al calcio attuale. Dietro l’elogio possiamo però intravedere da un lato l’invidia dell’autore per la sua fragilità fisica, e dall’altro l’idea di prendere la vita come un gioco, dove non è importante il risultato quanto la partecipazione. La canzone si conclude con l’ invito all’atleta, affinché si sforzi per fare sempre meglio nella sua attività.
Più aderente al classico modello calcistico sono le 5 poesie sul mondo del calcio di Umberto Saba. Egli si avvicinò al calcio per caso, quando accompagnò la figlia allo stadio di Trieste per assistere ad una gara della squadra di calcio locale. La visione dell’incontro, accompagnata dalla foga dei tifosi sorprese positivamente il poeta, che fino a quel momento non riusciva a spiegarsi il senso di quello sport. Da quella occasione nacquero poesie come Squadra paesana e Tre momenti, fino ad arrivare a Goal, la più famosa di tutte, in cui l’autore analizza il momento più emozionante legato al calcio, quello della segnatura, focalizzandosi sullo stato d’animo contrapposto dei due portieri: disperazione per il vinto e gioia immensa per il vincitore. L’autore triestino analizza lucidamente i caratteri fondamentali del calcio italiano in un’epoca ormai lontana da noi e per certi versi rimpianta. Erano gli anni del calcio genuino, fatto di sola passione sportiva, molto lontano, dunque, dal calcio business dei giorni nostri, che ha portato ad un imbarbarimento di questo straordinario sport.
L’ultimo grande autore della nostra letteratura ad essersi occupato di calcio è stato Pierpaolo Pasolini, che a differenza dei sui predecessori praticò questo sport(era una buona ala destra). Egli scrisse un saggio dedicato al calcio in cui lo paragona ad un sistema di segni, che ha valore di vero e proprio linguaggio. In tale sistema i calciatori fanno le veci di poeti e prosatori, mentre i tifosi diventano i destinatari del codice. La partita rappresenta la sintassi e la sua unità minima diviene il “podema”(il calcio al pallone). L’originale ed arguta teoria pasoliniana si conclude con la distinzione in due sottocodici del linguaggio calcistico, quello poetico, in cui rientrano i giocolieri brasiliani, amanti del dribbling, e quello prosastico, tipico degli europei, di grande concretezza. L’aspetto comune dei due sottocodici calcistici è il goal, che anche per lo scrittore bolognese rappresenta il momento di massima esaltazione di questo sport.
Vincenzo Piscitelli