Pagina di calcio grande e amaro. Nello stadio disadorno, neanche un tabellone per proiettare il video dell’Unità d’Italia come rileva il ministro interista La Russa, la Coppa Italia sceglie la semifinalista. Il Napoli sopporta tutto: gol annullato a Cavani per astratto fuorigioco, ritmo blando e asfissiante dei rivali, forse un rigore condonato a Lucio. Ma lascia il ricordo di un finale strappacuore.
Stanca l’Inter? Questo ingiusto sospetto, diffuso dalle dichiarazioni di Moratti dopo la sconfitta di Udine, avrà illuso e condizionato il Napoli. Dopo il gol annullato a Cavani, decisione molto discussa, l’Inter è apparsa tonica, come rivitalizzata da una scossa. Ma che accade? Sembra molto potente. Autoritaria. Perentoria. Ma è il Napoli a concederle un doppio vantaggio tattico. L’Inter ha imposto il ritmo basso, il suo ritmo. Quello che valorizza la sua superiore tecnica a centrocampo. Quindi: ritmo blando e palleggio facile rendono l’Inter protagonista del primo tempo.
Il Napoli, con una linea difensiva giustamente alta per poter ripartire subito, concede spiragli nella sua difesa, chiusi solo da una dalle magie di De Sanctis, portiere così bravo da essere poco appariscente, quindi descritto al minimo, ma spesso risolutivo. L’Inter, con la partita sottoritmo, si è ormai assicurata il possesso palla, e fa correre il Napoli spesso a vuoto. Gli interisti da una parte che palleggiavano ritrovandosi sempre, e il Napoli dall’altra che affanna a centrocampo. In inferiorità numerica.
Pazienza deve misurarsi negli spazi larghi con il polivalente Stankovic in agguato sul suo centrodestra finché non è stato tradito da un muscolo, Gargano corre molto ma non va a mordere Thiago Motta che arretra nel ruolo vecchio stile di playmaker davanti al quartetto difensivo e detta gioco, Zanetti fa da specchietto alle progressioni di Maicon che per fortuna del Napoli sbaglia più di quanto la sua classe consenta. Proprio a Maicon il Napoli dedica la massima attenzione al punto da destinare nella sua zona con le scarpette “orange” Lavezzi. Reagisce Cavani invece, aspetta qualche errore di Cordoba o Ranocchia che sventa di testa dalla linea di porta anche un suo gran colpo, schizza in avanti appena può, ben collegato con Lavezzi.
Il Napoli visto così ha due vie d’uscita: Hamsik che esita prima di entrare in scena, conquistare le fasce. Gli esterni però non contribuiscono al progetto tattico. Maggio sgobba nel coprire, con diagonali generose per arginare Cambiasso, e Dossena ricorda a sinistra nella sua serata ascetica i monaci contemplativi. All’assetto interista, con giocatori stretti che si ritrovano a memoria, si oppone un Napoli privo di un giocatore d’ordine che sappia organizzare squadra e ripartenze. Non può essere l’esuberante Gargano, né Hamsik.
La straordinaria condizione dei tre difensori lascia un’impronta anche stavolta. Campagnaro non trema davanti ad Eto’o e avanza per proporre, lo stesso fa Cannavaro, mentre Aronica limita Pandev e va a chiudere tutti i varchi che all’improvviso si aprono. La difesa organizza la reazione, esaltata da Zuniga che rileva il mesto Dossena. Nel finale l’Inter perde la chiave tattica: deve correre e affannarsi, il Napoli si ribella, non vuol soccombere al suo ritmo cadenzato. Un sussulto di orgoglio che giustamente riapre la sfida fino a notte alta.
Fonte: La Repubblica