Meno tre. E ora che il patto per afferrare il diavolo è racchiuso nella forbice di una gara, ciò che resta del Napoli è la consapevolezza di poter sognare con gli occhi aperti di Aurelio De Laurentiis: «Io a inizio d’anno ho parlato di quinto posto, ma se arriva qualcosa di meglio non la butto via. E poi, l’appetito vien mangiando…». Si scrive scudetto, però non si dice, e nella patria della scaramanzia non c’è verso di derogare, di spingersi un attimo oltre o almeno nel bel mezzo di una realtà che è aritmeticamente inattaccabile: Milan 49, Napoli 46 e ciò che resta di un campionato ancora tutto da giocare è la sana volontà di evitare citazioni pericolose: «Quella parola lì io non la pronuncio».
Canta Napoli, però abbassando il volume di un trionfo che è nei numeri di un campionato esemplare e che il 2-0 sul Cesena – agevole, anzi ridimensionato dalla topica di un guardalinee che non si accorge di un gol di Maggio – amplifica, complice il pareggio della Lazio e dei rossoneri. L’antiMilan eccola qua, trascinata ovviamente da Cavani, 18 reti e un’umiltà da primato: «Non guardiamo gli altri, ma noi stessi. Però siamo felici, felicissimi, per questa città che merita soddisfazioni».
La verità, nuda e cruda, è nella classifica, ma ciò che emerge da uno spogliatoio incollato con i piedi in terra è un valzer lento, quasi una nenia, che Walter Mazzarri invita a ripetere sino alla noia, con noncuranza per ciò che sussurrano i numeri: «Io non so neanche quanti punti abbiamo, non posso farci niente se non riesco a godere delle vittorie come si dovrebbe. Ora sto già pensando alla Roma, la nostra prossima avversaria di sabato. Però è bello vedere che il progetto va avanti». Il Napoli-2, la miscela esplosiva che esce trionfante pure dalla rigorosa legge del turnover, si lascia alle spalle il ko di Verona con il Chievo («Magari avessi cambiato anche lì»), lancia nella mischia Mascara, si gode pure il tap-in di Sosa, che si illumina da sé nei pochi istanti giocati e smette i panni di mister X.
Il mese della verità, questo febbraio in cui c’è in palio pure il passaggio ai quarti di Europa League (con il Villarreal) e in cui il campionato declina appuntamenti choc (dopo la Roma, il 28 c’è il Milan) è cominciato staccando la compagnia, avvicinando la capolista e ammirandosi allo specchio in giocate che a Mazzarri sembrano strappate alla playstation: «Mi viene da ridere, perché Lucarelli, a un certo punto, mi ha detto: mister, nell’azione del primo gol pareva di essere in allenamento , quando facciamo le esercitazioni undici contro zero».
E però questo pazzo pazzo Napoli vorrebbe far credere di essere un disilluso, di osservare il mondo dal buco della serratura, senza concedersi alcuna divagazione: ma intanto il San Paolo è una fortezza (ventidue punti nelle ultime otto partite), Cavani s’è preso la briga di ribattere gol su gol a Totò Di Natale (l’uruguaiano ora è a quota 18 e guarda la compagnia dall’alto in basso) e il tragitto che conduce in paradiso – che sia scudetto, che sia zona Champions – s’è ridotto di un’altra giornata. Mentre intorno il San Paolo intona – strafregandosene di ogni tipo di paura – «vinceremo il tricolore», De Laurentiis sa come si riesce a distogliere l’attenzione dal vero obiettivo: «Due cose: la Roma ci aspetta, ma noi ce la andiamo a giocare, ricordandoci che all’andata le abbiamo dato due palline».
E a proposito di altro: qualcuno dice che Marotta ha sostenuto di voler ritoccare il contratto di Quagliarella. «Lui sa bene cos’ha firmato e sa bene che ha già acquistato il calciatore. Io, cedendoglielo a quindici milioni di euro, gli ho già fatto un favore». Ora si passa all’incasso: scudetto o qualificazione Champions, a questo punto tutto fa brodo.
La Stampa