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Pozzo: Sono io un modello da imitare. Inler vale 18 milioni

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Gli hanno già fatto i conti in tasca: 30 milioni per l’attaccante Alexis Sanchez, 18 per il centrocampista Gokhan Inler, 13 per il portiere Samir Handanovic. Poi un’altra ventina sparsi per gli altri: Mehdi Benatia, Pablo Armero, Kwadwo Asamoah. Ottanta milioni, più o meno: Giampaolo Pozzo, proprietario dell’Udinese, è ricco. L’uomo più capace di tutto il calcio italiano nel trasformare un’operazione di mercato in un investimento. Perché per tutti quei calciatori lui non ha speso neanche il 10 per cento del loro attuale valore. L’Udinese vince, annusa l’Europa e soffia sul collo di Inter e Napoli, tiene dietro Lazio, Roma, Juventus, Palermo, Fiorentina. Non è detto che li venda, i suoi gioielli. Aspetta di vedere come va a finire questo campionato. «Non abbiamo mica bisogno di soldi». A 69 anni è felice. A 69 anni è al momento migliore della sua avventura nel calcio.
Cosa pensa quando dicono che l’Udinese è un miracolo?
Che non lo è. Come si fa a definirlo miracolo? Siamo qui da tanto tempo, abbiamo da anni una squadra competitiva. Certo abbiamo fatto errori, però se uno pensa all’Udinese di questi ultimi anni pensa a quella di Alberto Zaccheroni, a quella di Luciano Spalletti, a quella del primo Francesco Guidolin e a questa del secondo Guidolin. Cambiano gli uomini, gli allenatori, ma siamo sempre lì. Le sembra un miracolo?
No.
Appunto.
Però può essere un modello?
La si può imitare, certo. È una questione di risorse. Se le hai puoi fare il Milan, l’Inter o la Juventus. Se non ce le hai, allora puoi imitare l’Udinese: lavoro, idee, uomini giusti, tetto agli stipendi, contratti lunghi, osservatori capaci di scovare giovani in tutto il mondo a prezzi contenuti, allenatori capaci di valorizzarli e farli diventare dei campioni che valgono milioni.
Udine è tranquilla, non mette ansia. Quanto conta l’ambiente?
Questa città dà una mano di sicuro. Non ti mette fretta, ti dà il tempo di riprenderti se per un periodo non funzioni. Però al tempo stesso è un limite. La sua serenità non dà stimoli. È bello avere una città che ti lascia libero di lavorare in pace, ma poi la domenica serve uno stadio che diventa una bolgia. Qui non è stato così. Finora.
Finora?
Stiamo lavorando al progetto del nuovo stadio. Sarà tutto nostro e sarà diverso. Con le tribune attaccate al campo, così da essere sempre il nostro alleato in più. Il… come si dice?
Dodicesimo uomo?
Sì, esatto. Il dodicesimo uomo. È fondamentale, più di quanto si pensi. Può cambiare un campionato.
Come?
Lo stadio, se ben fatto, a fine campionato vale 4-5 punti in più.
E quest’anno dove vuole arrivare?
Più in alto possibile. In Europa, perché ce lo meritiamo.
Prime cinque giornate, cinque sconfitte. Tutti dicevano: Guidolin salta. Lei l’ha tenuto. Come si fa a resistere alla tentazione di licenziare un allenatore?
Si resiste pensando alla tua storia. Noi raramente abbiamo sbagliato tecnico. Guidolin, poi, lo conoscevamo già: sapevamo che avrebbe fatto bene, nonostante l’inizio difficile.
Facile adesso…
È stato facile anche prima. Sa perché? Per la cosa più semplice: la sfortuna.
Come, scusi?
Molti presidenti non accettano la cosa che spesso governa il gioco del calcio: il caso. La gran parte di quelle prime cinque sconfitte è stata colpa della sfortuna. E non si caccia un allenatore per questo.
Venticinque anni di calcio. S’è stancato?
No. Le cose sono cambiate. Rispetto a quando ho cominciato il calcio è migliorato, contrariamente a quanto possano pensare in molti.
E s’è mai pentito di avere investito nel pallone?
I pentimenti sono quotidiani. Ma passano in fretta. La verità nel calcio è un’altra…
Quale?
Che nel calcio si entra in cinque minuti e poi non si esce più. I club sono aziende invendibili. In Italia nessuno
compra sul mercato una squadra: tutti gli ultimi presidenti sono entrati subentrando in società che erano fallite o che stavano per fallire. Della mia generazione siamo rimasti solo io e Silvio Berlusconi. Venticinque
anni io e 25 anni lui.
Se le dicono che è il Berlusconi di provincia s’offende?
Tutt’altro. Lo considero un complimento. Lui ha ottenuto tutto quello che un presidente di una squadra di calcio possa sperare di ottenere: ha vinto tutto, s’è divertito, ha fatto divertire, ha fatto parlare della sua
squadra nel mondo. Nel mio piccolo credo di avere fatto lo stesso: entrambi abbiamo scelto i collaboratori giusti.
Però Berlusconi ha soprattutto comprato, lei ha soprattutto venduto…
Ma lui ha il Milan e io l’Udinese. E poi io ho comprato tanto, ma a poco.
Più importante vendere o comprare nel calcio?
C’è solo un detto, nel pallone: devi comprare bene. Noi l’abbiamo fatto, per noi è una specie di tradizione. È un orgoglio sapere che molti dei giocatori scoperti da noi poi hanno fatto bene anche altrove: Oliver Bierhoff, David Pizarro, Vincenzo Iaquinta, Morgan De Sanctis, Simone Pepe.
Il suo club l’hanno chiamato perfino «Udinesesupermarket»: le piace?
Non molto. Siamo un club di calcio. Siamo un’azienda. Facciamo tutto per essere competitivi e tenere i conti in ordine. Fosse per me, non venderei nessuno.
Quindi non è vero che venderà i suoi gioielli Sanchez, Isla, Inler…
Io vorrei riuscire a tenere tutti, ma non decide solo l’Udinese. Molto spesso sono i calciatori che vogliono andare via perché non resistono al richiamo del grande club. E se un giocatore ha deciso di andar via non ha senso tenerlo. Uno dev’essere contento di giocare nell’Udinese.
Allora è stato felice che Antonio Di Natale, l’estate scorsa, abbia deciso di non andare alla Juve per restare a Udine.
Forse è la cosa che mi ha reso più orgoglioso negli ultimi anni.
Sembra contento. È una rarità nel mondo del calcio…
Lo sono. Più di così non si può fare.
Panorama

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